LO STATO DELLA MENTE: DA GENITORE A FIGLIO
Le esperienze relazionali hanno una forte influenza sul cervello, svolgono un ruolo organizzativo cruciale nel determinare lo sviluppo delle strutture cerebrali nei primi anni di vita e nel plasmare le attività del cervello durante tutta la nostra esistenza ( Siegel, 2013, pag 32).
Le prime forme di comunicazione interpersonale che il bambino sperimenta sono quelle con il genitore che per rispondere in modo adeguato ai suoi bisogni deve essere in grado di sintonizzarsi con lui e di percepirne gli stati mentali. La capacità di riflettere sugli stati mentali del bambino – di vedere la mente al di là dei comportamenti e di rispettare l’esistenza di un mondo soggettivo interno – è centrale per lo sviluppo di un attaccamento “sicuro” ( Siegel, 2013). Una positiva percezione di sicurezza che il bambino sperimenta nel legame di attaccamento è garantita dalla capacità del genitore di concettualizzare la sua mente consentendo anche, al genitore, di essere sensibile ai segnali e di rispondere alle sue esperienze interne e non solo ai suoi comportamenti esterni.
I processi comunicativi che si scambiano tra genitore e figlio determinano il tipo di attaccamento che si instaurerà tra di loro. Un attaccamento sicuro può essere promosso da una comunicazione emotiva efficace nella quale è possibile condividere le esperienze interne sulla base di una sintonizzazione e di risonanza reciproca. Al contrario modelli comunicativi poco efficaci danno vita a forme di attaccamento insicuro.
Sulla base del tipo di relazioni e di comunicazioni che ha vissuto con il genitore il bambino si creerà quello che Bowlby chiama un “modello operativo interno”: cioè uno schema relazionale di riferimento con il quale interpreterà le persone per lui significative e con il quale si rapporterà ad esse.
Il bambino che ha sviluppato un modello operativo interno di attaccamento “evitante” ha sperimentato la relazione con un genitore che non si è mostrato capace di rispondere alle sue esigenze e di accordarsi con i suoi stati mentali, si è creato così la convinzione che cercare la vicinanza del genitore sia inutile. Lo scambio emotivo che questo tipo di relazione propone è limitato e lascia il bisogno di contatto emotivo del bambino sempre frustrato. Sia il genitore che il bambino rimangono isolati emotivamente l’uno dall’altro. Il bambino si struttura dentro a strategie di adattamento che portano a ridurre la ricerca di contatto e a minimizzare le aspettative rispetto al genitore. I comportamenti ed i processi mentali legati a questo tipo di attaccamento comportano una disconnessione del senso di sé, escludendo gli aspetti emozionali del proprio vissuto e costruendo così una visione del sé non integrata.
I bambini che sviluppano un modello operativo interno di attaccamento “ambivalente” hanno avuto relazioni con dei genitori che si sono mostrati disponibili verso di loro in modo discontinuo e incoerente, mettendo in atto atteggiamenti emotivamente invasivi anche se non sempre ostili. Questo tipo di genitore prova ad entrare in relazione con il figlio ma
con modalità che non sempre tengono conto dello stato interno del bambino, delle sue necessità e della sua individualità. Spesso questi genitori sono sopraffatti dai loro stati della mente, dalle loro emozioni, dal loro passato e ciò interferisce con la capacità di percepire chiaramente gli stati della mente e le emozioni del figlio. Il bambino rimane incerto e confuso non riuscendo a capire se le proprie emozioni e i propri bisogni verranno percepiti e ascoltati oppure no. Questo tipo di genitore presenta uno stato della mente ‘preoccupato’ nelle sue relazioni e questo si riflette in modelli comunicativi contraddittori. Ha un forte desiderio di intimità accompagnato dal timore antico che le sue figure di attaccamento non siano in grado di rispondere ai suoi bisogni, sviluppa così un senso di insicurezza generale rispetto alle relazioni. In questo modo gli elementi intrusivi del passato interferiscono in modo significativo con le esperienze del presente. L’intrusività delle esperienze del passato – che determina il modo di percepire le relazioni e la realtà – condiziona le risposte nei confronti del mondo esterno e dei comportamenti dei figli.
Questa modalità relazionale produce nel bambino un senso di disagio che non può essere colmato nel contatto con il genitore.
I bambini con attaccamento “evitante” imparano a ignorare lo stato mentale dei genitori e sviluppano strategie che tendono a disattivare i meccanismi di attaccamento. Di contro i bambini con attaccamento “ambivalente” sono indotti ad una continua attenzione alle reazioni imprevedibili del genitore.
Quando le relazioni primarie sono connotate da quelle intrusive e cariche di incertezza, l’immagine della figura genitoriale interiorizzata può interferire con la capacità di percepire in maniera corretta i segnali e i comportamenti degli altri, fino ad impedire di vedere l’altro nella realtà dell’esperienza presente. Il mondo interiore può essere quindi dominato da preoccupazioni emotive intrusive che vengono attivate in tutte le relazioni interpersonali. Durante le interazioni con i genitori questi bambini hanno avuto la sensazione di non essere “visti” o di essere “assenti” con la conseguente costruzione interna di un “senso di Sé falso”. Una simile relazione di attaccamento indirizza verso l’ambivalenza le percezioni e le aspettative del bambino nei confronti del genitore, degli altri e di se stesso con il risultato di avere un “senso del Sé confuso”. Queste coppie genitore-figlio sono caratterizzate da rappresentazioni del Sé e dell’Altro che ostacolano comunicazioni contingenti e collaborative.
Il terzo modello operativo interno di attaccamento è definito “disorganizzato” ed è caratterizzato dalla presenza di comunicazioni conflittuali. Come se il genitore dicesse al figlio:“ Vieni qua! Vai via!”. Questo comportamento disorienta e spaventa il bambino non consentendogli di organizzare strategie di adattamento definite, perché non riesce a interpretare le indicazioni che gli vengono trasmesse dal genitore. Inoltre è un atteggiamento che non dà la possibilità al bambino di rifugiarsi dal genitore per trovare conforto e sicurezza. Il genitore che attiva modelli mentali instabili, incoerenti o conflittuali con rapidi cambiamenti negli stati della mente manifesta comportamenti disorganizzati e interiormente vive esperienze di dissociazione della coscienza, ed un bambino è particolarmente vulnerabile nei confronti di queste alterazioni. Tali variazioni sono legate a processi interni del genitore e non hanno correlazione con i comportamenti del figlio, non costituiscono risposte dirette ai suoi segnali. Le dirette conseguenze di tutto questo sono la compromissione delle capacità del bambino di prevedere gli atteggiamenti del genitore e l’impossibilità di creare aspettative (modelli mentali) in maniera organizzata. Le reazioni confuse e terrorizzanti dei genitori impediscono lo sviluppo dei processi evolutivi che gradualmente dovrebbero far passare il bambino da stati della mente caotici e non regolati a stati più organizzati. Il bambino impara a sintonizzarsi con il genitore e a riprodurre i suoi comportamenti incoerenti.
Vivendo in una condizione in cui il genitore non rappresenta una fonte di tranquillità e sicurezza il bambino è costretto a vivere in una situazione paradossale per la quale oscilla continuamente tra il bisogno di avvicinarsi a lui e a quello opposto di allontanarvisi. Non avendo la possibilità di lottare o fuggire rimane paralizzato in una specie di trance che può rappresentare il preludio di processi dissociativi patologici ( Putnam, Carlson, 1998). I genitori con un attaccamento disorganizzato spesso hanno comportamenti violenti (che inducono paura) e stati mentali confusi (spaventanti e disorientanti) che cambiano rapidamente e indipendentemente dai segnali trasmessi dal figlio (Main, Hesse, Kaplan, 2005). La comparsa di bruschi cambiamenti negli stati della mente può essere favorita da situazioni in cui l’adulto è sollecitato a rievocare le proprie esperienze traumatiche o da contesti legati alla relazione con il figlio che lo portano a rivivere aspetti della propria infanzia. Condizioni di questo genere possono presentarsi nell’ambito di momenti cruciali della relazione con il figlio, ad esempio quando il genitore deve definire regole di comportamento, negoziare separazioni o rispondere a eventuali disagi e problemi del bambino ( Siegel, 2013, pag 142). Traumi e lutti non elaborati da parte dei genitori influenzano la regolazione delle emozioni e perpetuano dolore e sofferenza nei figli.
I bambini che hanno strutturato un attaccamento disorganizzato hanno gravi difficoltà nella regolazione del flusso degli stati della mente e delle riposte emozionali, facilmente rischiano l’instaurarsi di tendenze dissociative e di comportamenti dirompenti che compromettono lo sviluppo delle capacità cognitive e di adattamento, aumentando così il rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
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