NEUROSCIENZE E RELAZIONE
Istinto, filogenesi e neuroscienze: introduzione alla Teoria Polivagale di Porges
Il corpo racchiude in sé ogni segreto, dentro di esso le memorie traumatiche trovano un luogo in cui sostare a lungo, a volte per sempre. Dal corpo si possono leggere le storie che le parole non possono raccontare. All’interno di questa ‘macchina perfetta’ che con dedizione ci protegge dalle avversità esterne c’è un mondo complesso, istintivo ( neurofisiologico) che si attiva per la nostra sopravvivenza. A volte le esperienze sono così forti, così impossibili da comprendere e da elaborare che la ‘macchina’si inceppa, rimane immobile a rivivere continuamente la stessa scena: il vissuto traumatico.
I bambini che hanno subito maltrattamenti e abusi rimangono vittime di un sistema di attivazione interno (arousal) che li lascia in uno stato di allarme costante. Il tipo di attaccamento instaurato con il proprio genitore è la base per lo sviluppo di risposte più o meno adattive rispetto agli avvenimenti esterni ed alle esperienze della vita.
La Teoria Polivagale di Porges – basata sul pensiero di Charles Darwin e William James – spiega il ruolo centrale che hanno per l’uomo le interazioni umane, così come lo sono le sensazioni somatiche nella vita emotiva. Grazie a questa teoria è stato possibile gradualmente constatare che le alterazioni neurofisiologiche più gravi – e quindi i comportamenti – si manifestano in quei bambini che non hanno avuto interazioni sane con i loro genitori. I processi regolatori interni dell’individuo riflettono la sintonizzazione con le fonti di regolazione esterne soprattutto nei primi anni di vita, ed il fallimento di questa sintonizzazione relazionale comporta nel bambino una ridotta capacità di regolare le emozioni negative. I bambini imparano a regolare la propria attivazione emozionale in misura direttamente proporzionale alla capacità di stabilire una sintonizzazione fisica e ritmica con le figure di riferimento nel loro contesto di cura primario (Trevarthen 1999). Una regolazione affettiva compromessa porta i bambini a comportamenti disfunzionali (ritiro emotivo, irritabilità ecc.) come tentativo di affrontare lo stress. Questo tipo di comportamento disregolato fa sì che amici, compagni di scuola, e spesso, purtroppo, parenti e insegnanti non siano in grado di entrare in relazione con loro; le possibilità di trovare supporto e di accumulare esperienze positive in tal modo diminuisce. L’assenza della capacità di regolare la propria affettività comporta il pericolo di innescare un circolo vizioso all’interno della relazione e porta facilmente a conseguenze abbandoniche che a loro volta rendono più difficile la regolazione degli stati affettivi negativi.
Molti comportamenti dei bambini (atteggiamenti oppositivi, ribelli,non motivati, antisociali) e degli adulti – con storie di abusi (trauma) e trascuratezza – spesso sono tentativi di minimizzare le minacce oggettive e di regolare l’angoscia emotiva. Per questi bambini il funzionamento emotivo va in crisi molto facilmente anche in seguito a stimolazioni olfattive, visive, motorie o uditive. Questo accade perché le memorie dei vissuti traumatici sono sempre attive e scattano ogni qualvolta presagiscano la ri-attualizzazione dell’evento. Si può facilmente comprendere come a livello scolastico questo interferisca con la possibilità di apprendere: questi bambini sono internamente troppo impegnati a sopravvivere.
L’aspetto neurofisiologico di tali attivazioni di sopravvivenza viene affrontato da Porges in modo più ampio in quanto aggiunge al modello antagonistico tra il sistema simpatico e parasimpatico enfasi sul nervo vago che possiede funzioni sociali e regolatrici rispetto all’ambiente esterno e sostiene gli stati fisiologici correlati allo stress. Nella sua teoria Porges propone l’esistenza di due sistemi di nervo vago che si sono sviluppati e modificati filogeneticamente e si manifestano nei comportamenti sia umani che animali. La teoria descrive tre fasi nello sviluppo del sistema nervoso autonomo nei mammiferi ognuna delle quali è sottesa da un circuito neurale distinto che coinvolge il sistema nervoso autonomo. La prima fase è costituita dal nucleo motore dorsale del vago che è il responsabile dei meccanismi di immobilizzazione (freezing) che si manifestano con un blocco dell’azione detta anche “morte apparente” ed è la di difesa più primitiva condivisa con quasi tutti i vertebrati. La seconda fase dipende dal funzionamento del sistema nervoso simpatico che è associato ad un aumento dell’attività metabolica ed alla risposta cardiaca – battito cardiaco accelerato – e si manifesta con la mobilizzazione ovvero comportamenti di attacco/avvicinamento e difesa/allontanamento (fight or Fly). La terza fase dipende dal vago mielinizzato ventrale che favorisce i comportamenti sociali promuovendo lo stato di calma, inibendo l’influenza del sistema nervoso simpatico sul cuore e responsabile del controllo delle espressioni facciali, della vocalizzazione e dell’ascolto. Nei mammiferi il vago mielinizzato funziona come un freno vagale attivo che può sostenere rapide mobilitazioni comportamentali ed ha la capacità di stabilizzare fisiologicamente l’organismo, grazie alla consapevolezza viscerale introcettiva e alle interazioni sociali.
Indipendentemente dalla consapevolezza il sistema nervoso valuta il rischio nell’ambiente e regola l’espressione di comportamenti adattivi. Se l’ambiente viene percepito come sicuro le strutture di difesa localizzate nel sistema limbico vengono inibite ed il comportamento sociale si attiva, grazie ad un sistema viscerale che in quel contesto si trova in uno stato di calma.
I neonati, i bambini e gli adulti hanno bisogno di strategie appropriate per formare relazioni di attaccamento e legami sociali positivi (Porges, 2011, pag.15). Percepire il senso di sicurezza è necessario perché si attivino comportamenti di coinvolgimento sociale – come la capacità di regolare gli stati affettivi negativi attraverso lo scambio relazionale che si accompagnano a stati fisiologici positivi – comportamenti che emergono quando si percepisce il supporto sociale.
Quando questo sistema di regolazione affettiva si interrompe a causa di condizioni di stress estremo il nervo vago sociale non è più in grado di stabilizzare l’organismo, la comunicazione neurobiologica interpersonale tra i diversi organismi si interrompe e i
sistemi di difesa più antichi – da un punto di vista filogenetico – si attivano per regolare il metabolismo e per gestire le sfide ambientali che si stanno presentando. Questo accade agli esseri umani e a tutti i mammiferi quando si sentono sotto minaccia: non riescono più a relazionarsi con gli altri e ripristinano comportamenti primitivi e solipsistici di attacco-fuga per garantirsi la sopravvivenza. Quando anche le risposte di attacco-fuga non funzionano più si attiva l’immobilizzazione (freezing) che spegne ogni azione attraverso il nervo vago non mielinizzato. Questa manifestazione estrema del tentativo di sopravvivenza la si riscontra nei bambini e negli adulti che hanno subito traumi, la si osserva nel corpo che rimane immobile come se fosse congelato. In questo stato ‘primitivo’ di congelamento non è possibile per il bambino entrare in relazione con gli altri e percepire le loro espressioni facciali ed il tono della voce perché le funzioni del suo nervo sociale sono come sospese, non è più in grado di usufruire del sistema relazionale – che gli permetterebbe di ripristinare l’equilibrio fisiologico – rimanendo così ‘imprigionato’. Questo stato di ‘fermo’ nel vissuto traumatico è visibile in tutti gli individui che hanno sviluppato un disturbo post-traumatico da stress (PTSD).Tale disturbo è una condizione disfunzionale che blocca lo sviluppo e la crescita del bambino che avrebbe invece bisogno di essere in grado di distinguere una persona amica da una nemica, di saper riconoscere una situazione sicura da una pericolosa e di saper adattare il suo comportamento in base alla realtà oggettiva e non a quella del passato. Di contro queste abilità permetterebbero rispondere con atteggiamenti adeguati alle richieste del gruppo sociale e di costruire legami affettivi e di sostegno. La coesione del gruppo sociale è un elemento centrale per gestire gli stress della vita.
Per saper distinguere una situazione sicura da una pericolosa Porges individua un sistema subconscio in grado di percepire la differenza tra minaccia e sicurezza. Questo processo di discriminazione avviene nelle parti primitive del cervello – al di fuori della coscienza – e viene chiamato con il termine di neurocezione. Per neurocezione si intende il processo di elaborazione delle informazioni che arrivano dal mondo esterno attraverso l’uso dei sensi che permette al sistema nervoso di valutare costantemente i rischi. I comportamenti prosociali e di difesa sono quindi determinati dalla neurobiologia: se a livello cognitivo non siamo consapevoli di un pericolo, a livello neurofisiologico il nostro corpo invece lo è in modo immediato. Se la funzione della neurocezione è falsata dai vissuti traumatici i segnali dell’ambiente non vengono letti e si attivano stati fisiologici che danno vita a strategie difensive. Queste strategie difensive vanno gradualmente abbandonate perché per entrare in contatto con gli altri, sviluppare relazioni di attaccamento e formare legami sociali duraturi è necessario ripristinare neuro-comportamenti prosociali. Per i bambini questo è altrettanto vero in quanto per ‘giocare bene’ è necessario che il sistema neurocettivo sia in grado di percepire condizioni di sicurezza che permettano loro di interagire serenamente con gli altri e di lasciare libero sia il corpo che la mente.
Quando il sistema neurocettivo percepisce una persona o una situazione come sicura anche il sistema viscerale si adegua e determina l’espressione emotiva. Come sostiene Van der Kolk il “corpo tiene il conto” ovvero ogni esperienza viene registrata nel corpo e le viscere parlano; “il cuore che si spezza”, le emozioni che si sentono a livello intestinale, appaiono dunque disturbi del sistema immunitario o problemi all’apparato muscolo-scheletrico. I segnali che ci arrivano dalle viscere in risposta alla neurocezione orientano quello che sarà il comportamento sociale e le emozioni contingenti.
L’esperienza viscerale è sostanziale e inevitabile nei vissuti emotivi ed è centrale nella comprensione delle emozioni come la felicità, la paura, la rabbia, il disgusto e la tristezza. Spesso le persone sanno rilevare il pericolo o l’amore grazie a quello che sentono nei visceri, perché sanno identificare accuratamente il grado di pericolo o di sicurezza di una situazione. Le persone che hanno un sistema di “ingaggio sociale” deficitario tendono a confondere la minaccia con la sicurezza e pericoli oggettivi con situazioni sicure. In quest’ultimo caso il feedback messo in atto dal sistema viscerale fallisce nella sua funzione protettiva oppure non permette di entrare nella pienezza delle esperienze della vita. Gli individui che hanno sviluppato un PTSD vengono sopraffatte dal loro sistema viscerale che appare loro ingestibile, per questo non riescono a modificare il tipo di interazione che hanno con l’ambiente esterno. Per gestire la situazione tentano di inibire il feedback sensoriale che arriva dal corpo ‘anestetizzandosi’ ai segnali del corpo e dell’ambiente.
Nelle interazioni sociali si possono adottare strategie adattive o disadattive a seconda del livello di rischio che si trova nell’ambiente. Da una prospettiva clinica le caratteristiche che connotano la psicopatologia prevedono l’incapacità di inibire i sistemi di difesa in un ambiente sicuro ed anche l’incapacità di attivare meccanismi di difesa in un ambiente rischioso oppure entrambe. Soltanto in un ambiente sicuro è adattivo e appropriato inibire i sistemi di difesa e mostrare nello stesso tempo un comportamento palesemente orientato all’ingaggio sociale (Porges, 2011, pag.11) Nei bambini che non hanno subito maltrattamenti o abusi il loro sistema neurocettivo coglie il rischio in modo adeguato mettendo insieme la consapevolezza cognitiva all’adeguatezza della risposta viscerale al pericolo.
I bambini che hanno subito traumi invece hanno facilmente disturbi reattivi dell’attaccamento e tendono ad essere inibiti (ritirati da un punto di vista emotivo o non espansivi) oppure ad avere comportamenti disinibiti mostrando comportamenti di attaccamento indiscriminati. Entrambi questi comportamenti indicano una neurocezione fallimentare (Porges, 2011, pag.16).
Esistono specifiche aree del cervello che colgono e valutano i movimenti del corpo, del volto e le vocalizzazioni della persona con la quale siamo in relazione e danno la possibilità di crearci un’impressione riguardo ad essa. Una di queste aree specifiche è la corteccia che si attiva quando vediamo volti e sentiamo voci familiari. Questo processo – che avviene nel lobo temporale della corteccia – permette di identificare persone familiari, di valutare le intenzioni dell’altro e si basa sui movimenti del viso e degli arti. Se la neurocezione considera una persona sicura il circuito neurale inibisce le aree del cervello che organizzano le strategie difensive, crea le condizioni perché possano attivarsi spontaneamente i comportamenti sociali che permettono l’avvicinamento, il contatto fisico e altre forme di coinvolgimento sociale. Al contrario, quando le situazioni appaiono rischiose, i circuiti neurali che regolano le strategie di difesa attivano comportamenti di attacco- fuga o immobilizzazione.
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