DALLA PERDITA ALLA RISORSA: FACILITAZIONE CON I CAVALLI
“ Qui, uomo e animale si fondono in un tutt’uno, in misura tale che non si saprebbe dire, chi dei due effettivamente stia addestrando l’altro”
Goethe, 1801
Costruire nuovi legami per riscrivere il proprio destino
Il clima e la struttura formativa familiare influiscono sullo sviluppo psico-emotivo, relazionale e cognitivo del bambino e possono segnare il suo futuro tracciandone quindi un destino.
A questo proposito, secondo la mia esperienza, la Facilitazione con il cavallo offre al bambino la possibilità di sperimentare un nuovo tipo di relazione, in quanto il cavallo rappresenta uno stimolo/presenza neutra che aiuta nella comprensione del tipo di relazione che il bambino ha con la madre.
Infatti alcuni ricercatori, nell’ambito della Pet-terapy e nelle TAA (Terapie assistite con gli animali) ritengono che la relazione con il cavallo rappresenti una valida risorsa atta a ‘ricostruire’ quello che Bowlby chiama modello operativo interno ovvero lo schema relazionale.
Dagli studi di etologia si è osservato che il cavallo, in quanto mammifero, vive in branco con la necessità quindi di sviluppare relazioni sociali con le quali soddisfare i bisogni di sicurezza, protezione, nutrimento e affetto sviluppando in tal modo modalità comunicative, sonore e corporee con cui poter elaborare strategie collaborative e interdipendenti per il mantenimento e la sopravvivenza del gruppo di appartenenza.
Con la teoria Polivagale di Porges è stato possibile notare come la comunicazione inter-soggettiva sia possibile grazie alla funzione del nervo vago, che controlla la mimica del volto ed elabora le informazioni viscerali che determinano le emozioni e grazie alla sua funzione di Ingaggio sociale permette la regolazione del sistema nervoso. Questa capacità neurofisiologica è condivisa da tutti i mammiferi e quindi anche dal cavallo, il quale può regolare e autoregolarsi attraverso la relazione intraspecifica ma anche interspecifica, quindi con l’essere umano. La presenza del facilitatore ha un’influenza importante nella co-regolazione degli stati emotivi e neurofisiologici del bambino ed ha una funzione regolatrice anche del cavallo. Il facilitatore deve riuscire a rappresentare una base sicura (Bowlby) per entrambi, bambino e cavallo, a co-regolarsi con l’animale per poter essere di sostegno al bambino. Il bambino può percepire una base sicura attraverso la funzione inconscia della neurocezione (Porges) che gli permette di distinguere tra un ambiente/persona sicura da una pericolosa. Un bambino traumatizzato può avere una neurocezione falsata dalla sua esperienza di vita, in quanto i meccanismi di difesa primitivi di attacco/fuga o congelamento (iper-arousal o ipo-arousal) prendono il sopravvento sulle strategie più evolute di cooperazione e ingaggio sociale.
Queste manifestazioni di sopravvivenza le possiamo riscontrare nella relazione con il cavallo, il quale ha un energia e una potenza fisica molto forte che potrebbero risultare come trigger (attivazione sensoriale) ed innescare le risposte difensive. A questo proposito anche il semplice battere in terra di uno zoccolo, un movimento rapido, uno spostamento verso il bambino o il frustare con la coda per togliersi una mosca, possono essere stimoli di attivazione sensoriale neuropercepiti come pericolosi. In questo senso la relazione con il cavallo può avere una funzione diagnostica, in quanto, appunto, può rendere manifesti schemi interni di risposta agli stimoli. Se il bambino si sposta difronte all’avvicinarsi del cavallo questo non vuol dire che sia un sintomo di PTSD (disturbo post-traumatico da stress) mentre il rimanere immobili potrebbe essere segno di neurocezione alterata. Questo per chiarire il fatto che le risposte primitive di attacco/fuga e immobilizzazione non siano di per sé ‘sbagliate’ o disfunzionali sempre. Va osservato e compreso in modo puntuale e adeguato il contesto e la situazione nella quale avvengono le risposte
Il cavallo può essere lasciato libero o se necessario legato con capezza e lunghina (attrezzatura nella quale si infila la testa del cavallo ed alla quale si aggancia, con un moschettone, una corda che può essere tenuta in mano o legata ad un ancoraggio) all’interno di un ambiente sicuro e confinato. Il cavallo è quindi autonomo nella scelta di avvicinarsi o allontanarsi rispetto alla situazione relazionale, in tal modo può autoregolarsi e attuare tutti i processi di ‘scarico’ della tensione – come rotolarsi in terra, espellere deiezioni, masticare, sbadigliare etc.- e di compiere liberamente quei comportamenti di interesse, curiosità, ingaggio sociale e relazionale. Partecipare quindi autenticamente alla relazione manifestando le sue intenzioni e le sue risposte connesse alla relazione con il bambino.
Il cavallo rappresenta una fonte di accudimento e di accoglienza priva di giudizio che rimanda a quella che dovrebbe essere una ‘buona’ funzione materna. Dunque il lavoro con il cavallo può rendersi utile nel caso sia carente questa ‘buona’ funzione materna. Per cui quando il bambino entra in relazione con il cavallo propone il suo schema interno di attaccamento alla madre, il cavallo risponderà a tale comportamento ma non a quello schema interno. Il cavallo rimane fuori dagli schemi relazionali e risponde ai comportamenti ed alle intenzioni che il bambino mette in atto. Si mettono così in luce gli schermi di attaccamento del bambino dando la possibilità di promuovere altri modelli relazionali.
Per il facilitatore è importante aver sviluppato dentro di sé atteggiamenti interni (Rogers) congruenti e aderenti a quelle qualità naturali che il cavallo possiede a livello intrinseco come: l’assenza di giudizio, l’accoglienza incondizionata, una congruenza interna – ovvero la capacità di portare a coscienza quello che si prova – e tendere all’autenticità nella relazione. Nel caso in cui si manifestassero sintomi di PTSD, o se ne intuisca la presenza, il facilitatore dovrà fare attenzione alla propria espressività ed avere un atteggiamento corporeo attento, mirato e controllato in quanto per promuovere ingaggio sociale sono necessarie espressioni distese e aperte ed una postura rilassata. Questo presuppone, come già detto, un autoregolazione interna.
Nella relazione con il cavallo l’implicito diventa manifesto e l’esposizione alla vulnerabilità può essere dirompente e può spaventare sia il bambino sia il facilitatore che
dovrà esserne a conoscenza per potersi autoregolare. Per i bambini l’esporsi a ‘cuore aperto’ alla relazione può essere più semplice che per gli adulti, più strutturati nel carattere e nelle loro strategie difensive, ed entrare quindi in sintonia con il cavallo è più spontaneo ed istintivo. A questo proposito il lavoro con i bambini che hanno difficoltà relazionali ed espressive può essere facilitato dall’incontro con il cavallo perché esso conduce il gioco relazionale con la delicatezza e la sensibilità cristallina che lo contraddistingue, come se il cavallo potesse leggerti l’anima ed è con quella che si relaziona.
Vorrei raccontare un esempio preso dalla mia esperienza personale di lavoro con i cavalli ed una bambina di 9 anni alla quale venne diagnosticato un ADHD ( Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) che chiamerò Alice.
” Alice arriva sul luogo di incontro con i genitori e scende dalla macchina con gli occhi pieni dell’eccitazione e del desiderio di vedere i cavalli. La accompagno nel pascolo dove i miei cavalli vivono liberi ed in branco. Passiamo sotto la staccionata, facciamo una ventina di metri e ci fermiamo. I cavalli già ci osservano e l’emozione di Alice si percepisce forte, così come la sua estrema attenzione. Ci fermiamo e Carbone – un cavallo grigio e nero di 20 anni – con passo deciso si allontana dal branco e viene incontro ad Alice così vicino da toccarle con il muso il petto. In questo momento è come se il tempo si fermasse. L’incontro, il contatto, è già avvenuto e si manifesta davanti a me”.
Un incontro così intenso ma delicato, limpido e pulito di per sé può trasformare per un attimo quello che è il vissuto originario di attaccamento alla madre, facendo sperimentare ad Alice un nuovo modello relazionale colmando per un istante quel senso di solitudine che una bambina – con un comportamento diverso dagli altri – può sperimentare nelle sue relazioni intime.
Racconto un altro esempio – sempre preso dalla mia esperienza come
istruttrice equestre – nel quale un bambino di 7 anni, che chiamerò Thomas, con problemi di apprendimento, partecipa ad una giornata di presentazione delle attività con i cavalli nella natura.
“Thomas arriva accompagnato dai genitori ed insieme ad altri bambini comincia le attività motorie proposte. Dopo gli esercizi di riscaldamento e di conoscenza dove Tomas mostra grande agilità, velocità ed equilibrio – che stonano con i successivi racconti della madre sulle incapacità del figlio – arriva il momento in cui presento ai bambini Soffio, una cavallina bianca. Dico ai bambini di fare silenzio vicino ai cavalli mentre si mettono in fila ancora un pò ‘chiacchierini’. Fa ingresso la cavalla e in un istante appare il silenzio. Un silenzio così intenso, carico di stupore, incanto e meraviglia che quasi sembra di toccare il sacro. I bambini fanno l’esperienza di salire a pelo (senza sella) su Soffio e quando arriva il momento in cui Thomas, che fino a quel momento si era mosso come se fosse solo in mezzo agli altri, sale sulla cavalla si blocca in un silenzio intenso e all’improvviso si getta con le braccia al collo di Soffio. Poi si rialza e comincia ad accarezzarla facendo uscire intime e silenziose lacrime.”
Anche questa esperienza di Thomas potrà, anche se per poco, toccare il suo modello operativo interno ed entrare nelle sue relazioni intime.
Come può un semplice incontro con un animale, in questo caso il cavallo, cambiare il destino di un bambino? Come è possibile che un’attività assistita da un facilitatore attento ed esperto nella relazione possa ampliare il panorama delle possibilità di scelte future?
Se la prima perdita d’amore è avvenuta nella relazione di attaccamento con la madre allora, forse, può essere proprio un’altra relazione, come quella con il cavallo che la richiami e risponda in modo naturale e funzionale. Che riesca inoltre ad entrare nei vissuti e fare spazio ad altre possibilità comunicative, affettive ed intime, a diventare una risorsa con la quale dare l’abbrivio alla riscrittura del proprio destino.
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