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Quando la famiglia fa paura

 

 Il bambino cresce in un clima familiare che ha regole, valori, abitudini e comportamenti relazionali che lo formano su come la famiglia si relaziona con il mondo esterno e con quali norme. Quando queste modalità sono violente, maltrattanti e/o trascuranti il bambino impara a rapportarsi con esse, ne acquisisce gli schemi relazionali interiorizzandoli e li codifica come norme sociali. Queste ultime fanno sì che il bambino sviluppi concezioni e vissuti connessi al senso di giustizia, di moralità, equità, responsabilità e imparzialità derivanti da contesti relazionali governati da specifici meccanismi deformanti.

L’acquisizione delle norme inizia quando il bambino comincia a voler capire la causa degli eventi che fanno parte del suo mondo relazionale (Di Blasio, 2000). Il bambino dall’età di due anni è in grado di capire, attraverso l’approvazione o disapprovazione dell’adulto, se l’azione che sta compiendo lui stesso o un altro sia congruente con le norme. Da questa capacità si presume che il bambino sappia immaginare come dovrebbero essere idealmente le cose in base a come appaiono normalmente (regolarità) e provi inquietudine e preoccupazione davanti ad eventi non conformi alla normalità; è quindi capace di contestualizzare gli eventi.

Il senso della norma si forma anche con lo svilupparsi del concetto di empatia – ed i bambini già a due anni sono capaci di immaginare e riconoscere la sofferenza degli altri – e imparano a valutare le azioni che danneggiano il prossimo come una violazione della norma.

Esiste poi una terza fonte normativa che per il bambino è rappresentata dal fatto di dover compiere un compito che gli è stato richiesto e di doverlo eseguire con le proprie forze. Questo impegno è motivato dal desiderio di raggiungere una padronanza di sé tale da consentirgli di attenersi alla norma del dover riuscire in una prova.

I Bambini che vivono in contesti familiari caratterizzati da violenza e abuso subiscono profonde ingiustizie e vedono compromesse tutte e tre le basi fondanti che consentono loro di creare delle regolarità normative. In queste famiglie la regolarità è inesistente e l’imprevedibilità delle risposte genitoriali impedisce di comprendere quali siano i comportamenti giusti e quali invece sbagliati; i contesti di apprendimento cambiano continuamente e le regole vengono disattese o modificate. In questo modo al bambino viene a mancare una fonte di sicurezza emotiva interna a causa dell’impossibilità di ancorarsi a ritmi e regolarità esterne che dovrebbero essere garantite dagli adulti. In un contesto così confuso e alterato risulta difficile trovare una spiegazione coerente con gli eventi vissuti. Come afferma Beatson “I contesti contribuiscono a definire implicitamente o esplicitamente quali siano le regole di relazione significative e rilevanti al suo interno, poiché possiedono precise strutture qualitative e relazionali che possono essere esse stesse messaggi” (Beatson 1972; trad. it. 1976). Anche i giudizi morali e convenzionali si sviluppano prima in condizioni contestuali e poi vengono generalizzati e astratti dalle situazioni iniziali. A questo proposito si può intuire come ciò che nella famiglia è concepito come ‘normale’, inteso nell’accezione di regolarmente ripetuto, allo stesso modo viene appreso dal bambino sulla cui base costruisce i valori interni morali ed etici.

Nelle famiglie che hanno problematiche legate all’uso di alcol e/o droghe, ad esempio, il concetto valoriale e normativo sul senso di adeguatezza o meno di questo comportamento e delle problematiche relazionali che ne scaturiscono sarà diverso da quello nelle cui famiglie non hanno tale problema. I bambini che crescono in contesti relazionali dove l’uso di sostanze è nella normalità familiare, impareranno a dare per normativo questo tipo di comportamento con la quasi inevitabile conseguenza di ripetere lo stesso schema relazionale. Con l’uso patologico di sostanze, come l’alcol, il clima familiare subisce rapidi cambiamenti che spesso si manifestano con instabilità emotiva, aggressività e violenza verbale e fisica tra la coppia genitoriale. La violenza è spesso la conseguenza di fragilità emotiva, di traumi non risolti e di patologie psichiatriche associate all’uso di alcol ed altre sostanze che servono ad attenuare i disagi psichici, colmare vuoti interiori, calmare stati d’animo troppo difficili da sostenere. Tali fragilità del genitore vengono nascoste dagli effetti dell’alcol ma si materializzano in modo esponenziale quelle che sono le paure e le paranoie ad esse correlate. Le tensioni che aumentano e i litigi che degenerano all’interno della coppia genitoriale possono essere devastanti e destabilizzanti per i figli che vi assistono e le subiscono quotidianamente. Maltrattamenti, aggressioni, abusi e violenze perpetrate sui figli sono spesso le conseguenze della perdita di controllo e di contatto con la realtà che l’uso di alcol o sostanze produce in modo dirompente nelle persone dipendenti.

Nel rapportarsi con un genitore che ha questo tipo di dipendenza il bambino svilupperà facilmente un attaccamento insicuro e/o disorganizzato rispetto a quella figura di riferimento, nonché ad averne una grande paura. Il senso di sfiducia, di tradimento, rabbia, vergogna e di profonda ingiustizia che il bambino prova dentro di sé lo condanna – se non elaborato – ad avere per sempre paura dell’altro, di diffidarne e di vivere in uno stato di allerta costante che connoterà il vissuto emotivo rispetto ad ogni relazione futura. Questo perché il modello relazionale che si esperisce con le figure genitoriali viene interiorizzato dal bambino e riconosciuto come paradigma normativo rispetto al quale anche il mondo esterno si muove. Il sistema familiare condizionato da queste relazioni di dipendenza viene appreso dal bambino come modello di riferimento e ricercherà in futuro schemi relazionali simili a quelli familiari.

Dentro un contesto caratterizzato da ruoli e dinamiche genitoriali interpretabili come di ‘vittima e carnefice’ o di ‘guardia e ladro’, come spesso accade in queste coppie, il bambino può tendere a prendere le parti di quella che appare la ‘vittima’ e schierarsi contro l’aggressore in difesa del genitore più debole. Con questa modalità il bambino apprende a non considerare i propri bisogni, a farsi carico emotivamente del genitore ritenuto debole subendo comunque le richieste del genitore cattivo. Impara così a non agire quei comportamenti che lui ritiene scatenanti di una probabile aggressione. Spesso i bambini imparano a non avere reazioni, a nascondere le emozioni, a non esprimere bisogni e desideri, a stare fermi. Lo stato di shock dettato dalla paura porta ad uno stato di congelamento con il quale il bambino si troverà a dover fare i conti in molti contesti della vita nei quali, egli stesso, proietterà i propri vissuti relazionali.

Nei contesti esterni alla famiglia che rappresentano un sistema autoritario – nell’accezione di sistema con delle norme e che ha l’autorità di formare a nuove abilità come la scuola – il bambino potrebbe trovarsi in difficoltà e manifestarla in comportamenti come: impossibilità di concentrarsi e apprendere, avere terrore delle figure autoritarie (come alcuni insegnanti), mostrare abilità cognitive inferiori alle reali capacità, avere timore di esprimersi e di essere umiliato, schiacciato o aggredito.

È frequente che all’interno di queste famiglie cariche di tensione  il coniuge che appare come vittima in realtà colluda con il carnefice dentro una dinamica diabolica in cui l’uno accende e carica l’altro in un gioco senza fine. I bambini che ne subiscono la violenza rimangono da soli a gestire l’energia dirompente e l’emozione fortissima della paura di

morire. Infatti spesso in queste dinamiche familiari la protezione e il sostegno vengono a mancare. 

 Un sistema familiare caratterizzato da problematiche di dipendenza e violenza nella coppia genitoriale produce squilibrio nelle capacità dei figli di intendere le norme e porta ad apprendere schemi relazionali pericolosi che possono poi essere ‘ricercati’ nella vita futura. Il rischio è quello di riproporre gli stessi modelli della famiglia di origine in quelle attuali, di sviluppare dipendenze considerandole normali.

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